MAGNUM PHOTOS
Dentro l’immagine, fuori dal centro
Guardare una fotografia è un atto semplice. Ma comprendere cosa realmente accade quando la osserviamo, cosa si muove dentro di noi, cosa ci chiede quell’immagine — questo è tutt’altro che banale.
La fotografia non è più, se mai lo è stata, uno specchio del mondo. È piuttosto un passaggio: tra il visibile e l’invisibile, tra l’istante e la memoria, tra ciò che è successo e ciò che scegliamo di vedere. È uno spazio di negoziazione, di interpretazione, a volte di conflitto. E chi scatta, chi seleziona, chi guarda, partecipa, consapevolmente o meno, a questa costruzione condivisa del significato.
Nel tempo in cui viviamo, sovraccarico di immagini, dove ogni dispositivo è una finestra spalancata sul mondo, si rende necessaria una domanda che si credeva superata: cosa significa ancora “guardare”?
E più precisamente: chi siamo noi, quando guardiamo?
Testimoni? Spettatori? Complici? Consumatori?
Questo articolo nasce da una conferenza che non è solo una lezione sulla storia della fotografia, ma un viaggio critico e poetico attraverso il lavoro di Magnum Photos e, in particolare, dello sguardo di Paolo Pellegrin, uno dei fotografi contemporanei più potenti e consapevoli.
Entreremo nelle traiettorie visive che hanno definito il secondo Novecento e l’inizio del XXI secolo, non solo per documentare la realtà, ma per interrogare il nostro modo di abitarla, raccontarla e, forse, cambiarla.
Restando “dentro l’immagine”, ma scegliendo consapevolmente di posizionarci fuori dal centro.
La nascita di un’utopia visiva:
Magnum Photos
Nel 1947, in un’Europa ancora stordita dalle macerie della guerra, un piccolo gruppo di fotografi immagina un progetto radicale: una cooperativa di autori, fondata sul principio di libertà creativa e autodeterminazione narrativa. Non un’agenzia, non un’impresa editoriale, ma un’utopia visiva: Magnum Photos.
I fondatori – Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodger, insieme a figure cruciali come Maria Eisner e Rita Vandivert – non volevano solo cambiare il modo di fare fotografia. Volevano trasformare il modo in cui la fotografia stessa partecipa alla storia.
Per la prima volta, i fotografi sarebbero stati proprietari dei propri negativi. Avrebbero avuto voce nella scelta delle immagini pubblicate, nella scrittura delle didascalie, nella costruzione del racconto. In un’epoca in cui la fotografia era spesso uno strumento nelle mani dell’editoria o della propaganda, Magnum proponeva una rivoluzione: il fotografo come autore consapevole, non come operatore invisibile.
Due sedi – Parigi e New York – e poi Londra, Tokyo. Una struttura decentrata, internazionale, pensata per seguire i grandi eventi del mondo ma anche per proteggerne lo sguardo. La cooperativa non era solo un contenitore di immagini: era una comunità di pensiero, un luogo di confronto continuo tra estetica, etica e politica.
I membri si riunivano ogni anno per accogliere nuovi fotografi, attraverso un sistema rigoroso: prima candidati, poi associati, infine membri a vita. Una selezione che non misurava solo la qualità tecnica, ma la coerenza visiva, la capacità di stare nel mondo con uno sguardo non banale, non passivo.
Fin dalle origini, Magnum si è posta non solo come collettivo visivo, ma come dichiarazione politica: sul senso della testimonianza, sul potere della narrazione, su chi ha il diritto di raccontare cosa. Una dichiarazione che risuona ancora oggi, forse più urgente che mai.
Magnum nel tempo:
geografie, conflitti, umanesimo
La storia di Magnum è un viaggio attraverso le svolte del Novecento e del nuovo millennio, vista dalla soglia fragile tra partecipazione e osservazione. Non si tratta solo di documentare. È una forma di abitare il tempo, dando volto e corpo ai grandi processi storici — e alle vite minute che ne vengono attraversate.
Anni ’40–’50:
La nascita dell’umanesimo fotografico
Negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, i fotografi Magnum raccontano la ricostruzione dell’Europa, l’infanzia ferita, i profughi dimenticati, la nascita dello Stato di Israele. Le immagini non sono mai solo testimonianze, ma atti di compassione visiva, spesso silenziosi, essenziali, profondamente umani.
In questi anni, prende forma una visione etica: la fotografia come responsabilità verso l’altro, come cura del reale. Capa in Indocina, Cartier-Bresson in India per il funerale di Gandhi, Chim Seymour tra i bambini sopravvissuti alla guerra: ognuno costruisce un ponte tra l’attimo e la storia.
Anni ’50–’70:
Espansione globale e società in fermento
È un periodo di ampliamento geografico e tematico. Le lenti di Magnum si volgono verso:
- la decolonizzazione africana, con immagini che svelano la fine violenta dei domini europei,
- la rivoluzione cubana, dove Che Guevara diventa icona attraverso l’obiettivo di René Burri,
- il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, raccontato con intensità da Bruce Davidson,
- il Vietnam, documentato da Philip Jones Griffiths con una forza che trasforma la percezione pubblica della guerra.
In parallelo, i fotografi iniziano a osservare i mutamenti culturali: la moda, il cinema, la società dei consumi. L’occhio si fa più critico, più laterale, meno didascalico. La fotografia si apre anche alla quotidianità che cambia, agli interstizi della storia ufficiale.
Anni ’80–’90:
Fratture, transizioni e nuove estetiche
Con la caduta del Muro di Berlino, le guerre nei Balcani, il genocidio in Ruanda, Magnum affronta una realtà più frammentata e dolorosa. I soggetti diventano più ambigui, le linee morali meno nette.
Si intensifica anche la riflessione estetica: Martin Parr, ad esempio, porta uno sguardo ironico e disturbante sulla società dei consumi britannica. Altri, come Sebastião Salgado, trasformano la fotografia sociale in epica visiva, con uno stile che fa discutere per la sua “bellezza del dolore”.
Anni 2000–oggi:
Crisi globali, nuove tecnologie, identità fluide
Nel nuovo millennio, Magnum affronta un mondo in cui i confini si moltiplicano — fisici, culturali, climatici. Le aree di intervento includono:
- le guerre post-11 settembre,
- la crisi climatica e le migrazioni di massa,
- la pandemia, raccontata con immagini spettrali di città vuote,
- i movimenti LGBTQ+, le battaglie per l’identità e la giustizia sociale.
In parallelo, emergono nuove modalità narrative: archivi, performance, linguaggi misti, fotografie che dialogano con video, installazioni, testi. La fotografia si decentra, si ibrida, diventa campo di sperimentazione etica ed estetica.
Un archivio vivente della coscienza
La forza di Magnum sta nel suo essere molte cose insieme: testimone, archivio, laboratorio, memoria attiva. È un organismo che respira con la storia, ne assume i traumi, ma anche le domande. E nel farlo, ci ricorda che guardare non è mai un atto neutro, ma un esercizio continuo di consapevolezza.
Etica e estetica:
chi ha il diritto di raccontare chi?
In un’epoca dove l’immagine è ubiqua, replicabile e vulnerabile, la fotografia documentaria si ritrova a fronteggiare una domanda che è insieme estetica, politica e morale: chi ha il diritto di raccontare chi? E cosa implica questa responsabilità, oggi, in un mondo sovraesposto?
La crisi della fiducia visiva
Negli ultimi anni, anche Magnum Photos, simbolo storico di integrità documentaria, è stata costretta a confrontarsi con i propri limiti. Nel 2020, una revisione dell’archivio ha rivelato la presenza di immagini problematiche, tra cui foto di minori in contesti ambigui e metadati discutibili come “teenage girl – 13 to 18” associati alla prostituzione. La risposta della cooperativa è stata una revisione interna radicale, ma il danno etico e reputazionale era ormai evidente.
A questa crisi si è aggiunta l’espulsione di David Alan Harvey, accusato di molestie sessuali. Due episodi distinti ma sintomatici: la difficoltà di coniugare memoria e sensibilità contemporanea, libertà espressiva e giustizia relazionale.
Tre modelli di visione
La fotografia documentaria non è mai stata neutrale. Ma oggi più che mai, si ridefinisce lungo tre assi interpretativi:
- Realista – l’immagine come verità osservata, oggettiva, trasparente (Cartier-Bresson).
- Interpretativo – l’immagine come visione personale, emotiva, soggettiva (Salgado, Pellegrin).
- Critico-relazionale – l’immagine come atto condiviso, relazione tra fotografo e soggetto (Azoulay, De Middel).
In questa transizione, si sposta anche il significato del “testimoniare”: da documentare il mondo a interrogarsi sul modo in cui lo si racconta. Una fotografia non mostra solo ciò che accade. Mostra da dove si guarda — e chi è lasciato fuori campo.
Empatia, estetica e neuroscienze:
il cervello davanti all’immagine
Le neuroscienze cognitive offrono uno strumento prezioso per comprendere il comportamento dello spettatore. Quando osserviamo immagini percepite come “autentiche” — ad esempio, una scena non posata, illuminata naturalmente, con volti riconoscibili — si attivano aree cerebrali legate all’empatia cognitiva, come il precuneo e la corteccia temporoparietale. È un tipo di empatia che ci fa entrare nella mente dell’altro, ci spinge a chiederci: cosa sta provando?
Al contrario, immagini fortemente stilizzate, curate o simboliche attivano prevalentemente il sistema limbico (insula, corteccia orbitofrontale), che gestisce l’emozione estetica e il piacere visivo. Qui, l’empatia si sposta dall’altro al sé: ci emozioniamo per la bellezza dell’immagine, per l’intenzione autoriale, ma meno per chi vi è ritratto.
- Il reportage crudo stimola compassione altruistica.
- La fotografia autoriale stimola emozione riflessiva.
Questo effetto ha implicazioni etiche profonde: più un’immagine è “bella”, meno ci chiediamo se sia giusta. Estetica ed etica competono per le stesse risorse cognitive. E il rischio è quello della compassione estetizzata: ci emozioniamo, ma non agiamo.
Chi controlla la memoria, controlla il significato
Oltre lo sguardo, il vero nodo è la memoria. Magnum, con il suo vastissimo archivio, non è solo un collettore di immagini: è un architetto della memoria collettiva. Ma ogni archivio è una costruzione selettiva. E ogni selezione è un atto di potere.
Chi decide quali immagini restano visibili e quali spariscono? Chi determina le didascalie, i tag, i contesti d’uso? Queste domande non sono solo tecniche: sono politiche. Perché definire cosa viene ricordato — e cosa viene dimenticato — significa influenzare come sarà interpretato il passato.
E nell’era digitale, dove le immagini viaggiano senza cornice, decontestualizzate e manipolabili, la posta in gioco si alza: come proteggere i soggetti fotografati da una seconda esposizione, quella della visibilità permanente?
Verso un nuovo contratto visivo
La fotografia non può più essere solo uno strumento di rappresentazione. Deve diventare uno spazio di co-costruzione del senso, dove chi guarda e chi è guardato partecipano, consapevolmente, alla narrazione. Per questo serve oggi una nuova grammatica dell’etica visiva. Una che tenga conto della psicologia dello sguardo, del funzionamento cerebrale, dei bias percettivi e del potere delle cornici narrative.
Una fotografia che non consola, ma interroga. Che non ci mostra solo “com’è il mondo”, ma ci chiede: che parte abbiamo, noi, in tutto questo?
Maria Vittoria Backhaus
Maria Vittoria Backhaus (1942–2025), fotografa italiana, ha unito reportage, moda e design con ironia e narrazione. Formata a Brera, ha creato immagini teatrali e pop, riconosciute da premi e mostre internazionali.
Sguardo interiore e potere dell’immagine: la fotografia tra visione, manipolazione e memoria
Il saggio esplora il ruolo della fotografia come veicolo di rappresentazione interna e manipolazione percettiva. Lontano dall’essere un semplice documento visivo, ogni fotografia agisce come uno strumento narrativo che scolpisce lo spazio interiore della coscienza. Mentre il mondo digitale e le intelligenze artificiali moltiplicano immagini perfette ma prive di radicamento esperienziale, le fotografie reali, incarnate e relazionali, continuano a produrre memoria.
Gianni Berengo Gardin
Fotografo discreto e coerente, Berengo Gardin ha raccontato l’Italia vera con sguardo onesto e umano.
Sebastião Salgado
Sebastião Salgado, fotografo umanista, ha raccontato dignità e dolore con sensibilità unica. Dalla crisi personale al progetto di riforestazione dell’Instituto Terra, un viaggio fra tecnica, impegno sociale e poesia visiva.
L’eredità visiva e morale di W. Eugene Smith
Un viaggio nella vita e nell’opera di W. Eugene Smith, maestro del photo essay e testimone etico del Novecento. Dalle sue ferite personali alla sua ossessione per la verità, Smith ha trasformato la fotografia in uno strumento morale, empatico e immersivo. Questo articolo ripercorre i momenti chiave della sua carriera, le sue relazioni, le sue ombre, e la sua eredità ancora pulsante.
Lee Miller
Lee Miller (1907-1977) è stata una figura straordinaria del XX secolo: modella, fotografa, corrispondente di guerra, musa ispiratrice e icona del movimento surrealista. Nata negli Stati Uniti e attiva soprattutto in Europa, Miller ha incarnato molteplici ruoli che hanno contribuito a ridefinire la maniera in cui pensiamo all’arte fotografica, alla rappresentazione femminile e al ruolo della fotografia nei momenti di profonda trasformazione storica. Spesso ricordata come l’allieva e la musa di Man Ray, o come la modella che finì sulla copertina di “Vogue”, Lee Miller fu molto più di questo: divenne una delle grandi testimoni visive della Seconda guerra mondiale, producendo immagini che ancora oggi ci parlano dell’orrore del conflitto, della complessità morale dei vincitori e dei vinti e delle contraddizioni di un’epoca.
Gli Archivi Fotografici: Origine, Funzione e Importanza
Con la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale, gli archivi fotografici stanno diventando sempre più accessibili online. Piattaforme come Europeana e archivi istituzionali stanno rendendo migliaia di immagini disponibili gratuitamente, democratizzando l’accesso alla memoria visiva del mondo.
Oliviero Toscani è morto lasciando un vuoto profondo
Oliviero Toscani (1942-2025) è morto il 13 gennaio 2025, è stato un fotografo italiano celebre per le sue campagne pubblicitarie provocatorie, in particolare per Benetton. Fondatore della rivista Colors e del centro Fabrica, ha affrontato temi sociali con immagini innovative e controverse.